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Che cosa si intende per diagnosi prenatale?

In cosa consiste e quale differenza c’è tra diagnosi prenatale invasiva e diagnosi prenatale non invasiva?

Le due grosse branche della diagnosi prenatale sono costituite dalla diagnosi prenatale invasiva – attraverso un prelievo, villocentesi o amniocentesi, che può comportare anche un rischio di perdita della gravidanza, per avere le cellule fetali su cui condurre una diagnosi definitiva – e dalla diagnosi prenatale non invasiva: per questa seconda tipologia spesso si tratta di screening che poi vanno approfonditi con diagnosi, ma comunque in prima battuta possono essere di grandissimo aiuto.

Pensiamo al Bi-Test o al DNA fetale ricercato nel sangue materno.

Quali sono i criteri per scegliere il tipo di test da effettuare?

E’ importante un dialogo con il proprio ginecologo, e comunque conoscere i limiti, le caratteristiche, i rischi dei test prenatali in quanto comunque questi possono essere un po’ personalizzati.
Chiediti qual è il grado di certezza che vuoi avere rispetto alle informazioni che cerchi, perché sul piatto della bilancia ci sono vari aspetti.

Se in prima battuta ti basta una stima del rischio delle principali anomalie cromosomiche, sulla base della quale decidere se proseguire o meno con le indagini, allora puoi eseguire il bi-test.
Si tratta di un test di screening della Sindrome di Down, è quindi la ricerca delle gravidanze a rischio per tale patologia.

Si tratta, quindi, di un calcolo delle probabilità che il feto sia affetto da tale sindrome. Tale calcolo si basa su alcuni elementi, i principali fra questi sono l’età materna, il dosaggio di due sostanze (Free-Beta HCG e PAPP-A) prodotte dalla placenta e presenti nel sangue materno, la misurazione ecografica della Traslucenza Nucale (NT) ed eventualmente altri parametri ecografici quali la presenza dell’osso nasale, l’evidenza di un eventuale rigurgito attraverso la valvola tricuspidalica, e l’analisi del Dotto Venoso.

Se vuoi qualche certezza in più ma senza correre rischi, allora puoi preferire il test del DNA fetale, che oggi è straordinariamente accurato, soprattutto per quanto riguarda la sindrome di Down (DR: 99,9%): sono infatti sempre meno i falsi positivi e i falsi negativi.
Lo studio del DNA fetale circolante nel sangue materno (non invasive prenatal testing – NIPT) é un recente esame prenatale non invasivo che, analizzando il DNA fetale libero circolante isolato da un campione di sangue materno dalla decima settimana in avanti, valuta la presenza di aneuploidie fetali relative ai cromosomi 21, 18, 13 ed ai cromosomi sessuali (X e Y).

Durante la gravidanza alcuni frammenti di DNA del feto e della placenta circolano nel sangue materno. Il DNA fetale è rilevabile sin dalla quinta settimana di gestazione, la sua concentrazione aumenta nelle settimane successive e scompare dopo il parto.

La quantità di DNA fetale idonea per eseguire il test è riscontrabile dalla decima settimana di gravidanza in avanti.
Il test si esegue mediante il prelievo di un campione ematico (10 cc di sangue periferico) della gravida da cui viene isolato il DNA fetale presente nel circolo materno che viene sequenziato al fine di determinare la presenza di eventuali anomalie dei cromosomi.

La risposta viene fornita in 7-10 giorni lavorativi ed è estremamente affidabile, in quanto ha un’attendibilità superiore al 99% nel rilevare le Trisomie 21, 18 e 13, e del 95% per rilevare la monosomia X con percentuali di falsi positivi inferiori allo 0,1%.
Il test prevede, inoltre, la determinazione del sesso fetale, informazione aggiuntiva gradita alla paziente ed utile alla gestione di eventuali malattie genetiche legate al sesso. Il test prevede anche l’opzione di un approfondimento diagnostico di secondo livello, che consente di individuare la presenza nel feto di alterazioni cromosomiche strutturali ed alcune comuni sindromi da microdelezione/microduplicazione (S. di Di George, S. cri-du-chat, etc..).

Se vuoi una diagnosi certa, l’unica via è quella delle indagini invasive: villocentesi (che però può dare un esito dubbio, in circa un caso ogni 50) e amniocentesi, con il rischio dello 0.2 % di aborto e rottura prematura delle membrane.

Dott. Paolo Zampella
specialista in Ostetricia e Ginecologia